Settembre 2023
E’ molta colpa di Perec. Se sono a Parigi.
George Perec, lo scrittore. E’ colpa sua.
Ma lui non lo sa. Perché è morto. Nell’82. A Parigi.
Dopo aver iniziato a scrivere la lista delle 50 cose da fare prima di morire, di cui però riuscirà a scriverne solo 37.
George Perec mi conforta.
E’ uno dei pochissimi che lo fa davvero. Gli scrittori di solito o mi affascinano, o mi trascinano, o mi fanno ridere, o mi fanno evadere.
George Perec invece mi conforta, un bel po'.
Per il grado di libertà che si prende sulla pagina. E se la libertà è un muscolo che si allena, e una cosa che si suda e l’unico modo per allenarla è praticarla. Mentre leggo, immagino Perec che allena la sua libertà, che fa slalom con le parole, che fa il plank sugli stili, che saltella sulle immagini, e fa stretching con le idee. E questa immagine di un uomo che scrive e vive e suda la propria libertà, mi conforta parecchio.
Quindi è colpa di Perec se sono a Parigi. Perché ne parla in quei libri, tutti scritti a modo suo.
E’ colpa di Perec se Parigi molte volte mi toglie le parole, se mi si attaccano gli occhi sui murales, se le luci di San Michel sono diverse da quelle di Buttes Chaumont, se ho scoperto un teatro su un battello, se ho visto i parigini giocare a bocce il lunedì pomeriggio.
E’ colpa di Perec se sono andata a teatro, a non capire le parole, e capire tutto il resto. Se mi addormento al sole di Parigi, se guardo la luna da un canocchiale su Avenue Bolivar, se attraverso il Canal Saint-Martin dal ponte più piccolo che sembra quello dei film, anche se devo fare un po’ di strada in più per arrivarci.
E’ colpa di Perec se incontro viaggiatori, persone che si spostano, che si muovono, che non sanno bene dove vivono, che hanno lasciato qualcosa da qualche parte, e che ne fanno a meno, o almeno così sembra.
E’ colpa di Perec se ora sono qui su Rue Manin con due zaini sulle spalle e una grossa valigia a fare un altro trasloco, non so se questa è libertà, ma sto sudando un bel po'.
Prendo il telefono e digito il nuovo indirizzo.
Bene, solo 600 metri, 9 minuti, devo attraversare la strada e andare a destra. Devo prendere Rue des Dunes.
Giro la testa e vedo che Rue des Dunes, non è una semplice strada. Ma è una discesa.
Una lunga strada in discesa.
Grazie Perec! So che hai scritto qualcosa anche sulle discese, lo so, ma non mi viene in mente ora.
Ora penso invece ad un’altra frase che dici da qualche parte.
“Vivere è passare da uno spazio all’altro cercando il più possibile di non farsi troppo male”
me lo ripeto come un mantra, mentre attraverso la strada con 40 kili di valigie addosso, e ringrazio quello in macchina che mi ha fatto passare.
Guardo bene dove metto i piedi.
“Cercando il più possibile di non farsi troppo male” penso che un giorno me la tatuerò sulle ginocchia, sbucciate dagli spostamenti, scorticate dalle rincorse e dai tuffi dagli scogli.
Vado veloce sulla discesa, la valigia corre da sola, penso a quando si dice che le salite rendono più forti, che le cadute ci temprano, che gli urti ci fanno bene.
Penso che questa narrazione masochista dello stare al mondo, vada rivista, come il mio modo di organizzarmi i bagagli ( faccio troppi zaini e poche valigie).
Intanto passa un uomo che non sa dove consegnare un pacco e mi chiede qualcosa, ma io faccio di no non la testa, “Je-ne-sai-pas” mi viene bene il francese mentre corro.
Penso che questa cosa del “se non ti uccide ti rende più forte” sia stata teorizzata da qualcuno molto potente e molto poco empatico.
Penso che se esistesse un mondo fatto di discese io non esisterei ad andarci a vivere
Penso che questa pedagogia nera del sacrificio e della ricompensa mi ricorda l’addestramento di alcuni cani da caccia.
Penso che ora che la discesa è finita ed ho il fiatone, dovrò ricominciare a trascinare la mia valigia.
300 metri, dice il navigatore, a Belleville stanno facendo i lavori , c’è una grossa gru al centro della strada mi infilo tra il muro e il ponteggio, penso a come distribuirei il tatuaggio sulle mie ginocchia “Vivere è passare da uno spazio all’altro” sulla sinistra e poi il resto sulla destra.
Penso alla prima volta che sono caduta dalla bici, alla crosta sulle ginocchia, e alla cicatrice che rimaneva più bianca quando mi abbronzavo. Cerco di ricordarmi se mi sono sentita davvero più forte dopo quella caduta oppure no.
Sento che ho una bici alle spalle, ma la strada è troppo stretta per entrambi, mi faccio da parte faccio passare, il signore con gli occhiali, sembra stupito e felice, sorride, mi dice mercì e poi qualcosa che non capisco.
100 metri e poi una piccola salita per arrivare al portone.
Non credo che le mie ginocchia siano più resistenti dopo la caduta dalla bicicletta, no sono più doloranti, più delicate, se cado di nuovo sullo stesso punto farà più male. È successo, succederà di nuovo, ma non chiedetemi di esultare di gioia. No.
Le cose che mi hanno reso le ginocchia più forti, e quindi più abili a viaggiare a passare da uno spazio all’altro e forse a esercitare un pezzo di libertà, sono state le cose in discesa.
È stato il signore che a Londra quando avevo 20 anni e non c’erano i navigatori mi ha indicato dove era la metro. È stata la ragazza che in Brasile mi ha offerto di andare a vivere a casa sua. È stato quando in Polonia il mercante della piazza dei fiori mi ha regalato una gerbera rossa.
È tutte le volte che qualcuno si è offerto di aiutarmi con le valigie, quando ne avevo troppe, e stavo iniziando una salita.
Belle le discese.
Penso mentre faccio tre piani di scale trascinando i miei bagagli mal organizzati.
Belle le discese. Penso mentre faccio cadere tutto sul pavimento di legno, facendo un gran rumore.
Belle le discese.
Penso quando vedo che la ragazza che mi affitta casa mi ha lasciato una fetta di torta sul tavolo.
E un messaggio " Please, help yourself" .
Che letteralmente sarebbe "Per favore, aiutati da solo."
Invece vuol dire ”Prego, serviti pure”.
E se la libertà va allenata anche sulla pagina di diario, allora per me, oggi, questo messaggio vuol dire.
“Serviti pure.
Goditi la discesa.
Cerca il più possibile di non farti troppo male.
E non tatuarti le ginocchia, per favore ” .
Nella foto : La torta di Annah