Settembre 2023
Si lo so, Parigi mi ha un po' rapita. Ho avuto poco tempo per scriverci su. Per starci a pensare insomma.
Questi giorni in ogni caso:
mentre trasportavo la mia grossa valigia da una parte all’altra di Parigi
mentre facevo passeggiate sulla Senna
mentre cercavo un bar in cui mettermi a scrivere
e mentre mi rifugiavo a Pret a Manger a caricare il telefono
mentre andavo a sgranare gli occhi davanti alle opere di 59 Rue de Rivoli
Mentre prendevo un grande acquazzone per andare al Pompidou di martedì per poi scoprire, che il Pompidou ha un giorno di chiusura ed è: il martedì.
Mentre i miei vicini facevano un trasloco e piangevano davanti al camion pieno zeppo delle loro cose. E si abbracciavano, e se ne andavano, e lasciavano lì al centro del patio un grande vassoio pieno di pan au chocolat.
Mentre provavo a pronunciare Pan au chocolat nelle Boulangerie, cercando di farmi capire senza dover ripeterlo due volte “ Un Pan e Chocolat, merci”.
Mentre compravo Madeleine in pasticceria solo per assaggiare di cosa parlava Proust, nel suo “ tempo perduto”.
Mentre scoprivo il 104, un posto aperto e gratuito in cui gli artisti vanno ad allenarsi, a fare le prove, a creare, a danzare.
Mentre scoprivo Les Amarres, un centro sociale Parigino, con una grande terrazza sulla Senna.
Mentre mangiavo Vietnamese, parlavo il portoghese, e balbettavo il francese.
Mentre correvo nel parco vicino casa, che sembra la Thailandia, invece sei a Parigi.
Mentre cercavo di togliere la patina del la Parigi" tutta Louvre e Torre Eiffel", mentre mi si scheggiavano le unghie.
Ho pensato al tempo.
Mi sembra che il tempo quando si viaggia cambi di consistenza.
Il tempo a casa, nella quotidianità, mi sembra che il più delle volte scivoli dal lunedì alla domenica e mi ritrovo la domenica sera a fare i conti con le ultime gocce della settimana, che si è sciolta senza che ci abbia fatto caso, senza che abbia avuto un attimo per starci a pensare.
Invece nel viaggio il tempo mi pare che si addensi, si inspessisca, questa viscosità del tempo è forse quello che cerchiamo nel viaggiare.
Viaggiare è come portare il tempo al lunapark.
E il lunapark si sa, è un modo per complicarsi la vita, invece di camminare sulla terra, al lunapark ti tolgono la terra sotto i piedi e tu cammini nel vuoto, invece di prendere un treno , al lunapark il treno è strettissimo, scomodissimo, va a 300 km orari, così il cuore pulsa più forte, e poi lo stesso treno ti mette a testa in giù, così per qualche secondo il tuo sangue non sa che giro fare e si perde tra le arterie.
Potevi stare sul divano invece no, sei andato a farti addensare il tempo così puoi tornare a casa e dire "ho fatto un’esperienza”.
Ecco, forse le esperienze, sono quelle cose che collezioniamo per evitare che la vita goccioli via, come il ghiacciolo al limone quando sei in spiaggia?
Quindi quando decidi di fare un viaggio è come se…
Come se vedessi il tuo tempo spiaggiato sul divano ( che il divano e il tempo a volte diventano la stessa cosa) e gli dicessi, dai andiamo a fare due salti, stai scorrendo troppo in fretta, goccioli per casa da troppi giorni.
Quindi eccoci qui, io e il mio tempo a Parigi, io molto presa ad arginare per quanto possibile il suo inevitabile gocciolamento, lui, il mio tempo, perso tra gli ottovolanti e le montagne russe.
Sono seduta ad un tavolo tondo di Pret a Manger su Rue du Louvre, sono venuta a ricaricare qui il telefono, ci impiegherà tra i 20 e 25 minuti prima che si accenda di nuovo, ho una quiche davanti che dovrò mangiare in 25 minuti. Un eternità.
Sto pensando al tempo.
Mi volto e al tavolo al di là della vetrata ci sono tre uomini con i capelli bianchi, parlano con una certa vivacità, li guardo ancora un pò, uno di loro ha un orologio stretto tra le labbra.
Do un primo morso alla mia quiche, formaggio e spinaci, la mastico lentamente, ho ancora 24 minuti, prima che il telefono si accenda.
Guardo di nuovo l’uomo con l’orologio in bocca, ne mordicchia il quadrante nero, ha gli occhi sorridenti e l'aria serena.
Vorrei fare una foto, ma il telefono è scarico. Si accenderà tra 21 minuti.
Il mio tempo diventa della stessa consistenza di questa pasta sfoglia della quiche, stoppaccioso, macchinoso, lento. Per i tre uomini con i capelli bianchi, sembra invece, che il tempo si sciolga come il burro, di cui è impregnata questa stessa quiche. Hanno finito il loro sandwich e sorseggiano il caffè.
Penso ai ragazzi che piangevano davanti al camion dei traslochi.
Non ho mai avuto tanto tempo per mangiare una quiche. La mastico lentamente.
Penso alle Madeleine di Proust, ho letto che quelle di cui parla nella recherche erano in realtà biscotti secchi e non quelle barchette burrose che si trovano ora in pasticceria, sotto lo stesso nome.
Nel frattempo la quiche è finita, e il mio telefono si accende.
Voglio fare la foto al signore che mangia il tempo, la allegherò alla mia pagina di diario.
Mi volto.
Il tavolo è vuoto, lui e i suoi due amici sono gocciolati via, inesorabili.
Prendo il telefono e faccio la foto al tavolo, la intitolerò:
SIAMO ANDATI AL LUNAPARK.