Settembre 2023
Non so fare le foto. Lo sanno in molti.
Le scatto, certo, ma le foto belle dico, le foto WOW. No, non è roba mia.
Così con un salto nel vuoto il mio vecchio smartphone zeppo di foto di scarsa qualità, decise di oscurarsi, fare buio, regalarmi un eterna immobile schermata nera. E anche il Bloody Mary non era un granché quella sera.
Posso dire, a mia parziale discolpa, che i miei smartphone non mi aiutano, “Ci sarà qualcosa nelle impostazioni” ho sempre detto del mio ex telefono, che è morto una sera d’estate mentre tentavo di fare una foto alla mia amica che preparava un Bloody Mary, è scivolato dalle mie mani prima che scattassi. Ne ho apprezzato l’audacia, il coraggio radicale, il suo kamikazico fondamentalista dire NO - all’ennesima foto brutta, mal illuminata, sfocata, destinata ad essere guardata con facce perplesse e poi inevitabilmente abbandonata nell’oblio di un Hard Disk stanco e demotivato.
Ma arriviamo ad oggi. Il mio attuale smartphone, neanche un anno di vita, ha già frantumato il vetro che protegge l’obbiettivo. Questo dona un costante “filtro-paradiso” alle mie foto, un fascio di luce le attraversa asceticamente, tutte ( o quasi tutte) le mie foto sembrano le immagini che spiegavano l’annunciazione, nei libri del catechismo. Tanta luce.
Ho deciso di portarlo a riparare, il telefono. L’ho lasciato due ore lì. E una volta tornata a riprenderlo il ragazzo indiano mi ha detto “Ho una brutta notizia, il tecnico ha sbagliato, non è pronto oggi, torna domani”
“Ma parto per Parigi, domani”
“Domani quando?”
“All’alba”.
Eccomi qua a Parigi, al centro di una delle città più belle del mondo, insieme alla mia scarsa abilità nello scattare foto, corredata da un telefono che, no, non aiuta.
A questo punto, per condividere quello che vedo, durante questo mio 𝑓𝑙𝑎𝑛𝑒𝑢𝑟𝑎𝑡𝑖𝑐𝑜 𝑣𝑖𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 nella capitale francese, mi tocca usare le parole, a cui allegherò qualche foto molto consapevolmente "fuori fuoco".
Durante i miei viaggi ho sviluppato una teoria su come esplorare e conoscere luoghi nuovi, togliendosi il più possibile la corazza da turista.
La prima cosa che faccio appena arrivata in una nuova città o villaggio è: andare a fare qualcosa di super quotidiano, una cosa che farebbe chi vive lì e non chi è appena arrivato.
Tipo..
Andare a comprare il dentifricio.
Il dentifricio, non lo porto quasi mai, e vado a comprarlo al supermercato più vicino a dove alloggio, lo cerco tra gli scaffali, lo scelgo, e alla fine mi metto in fila, io e il dentifricio, e intanto guardo le persone.
Questo risvolto antropologico dell’acquisto del dentifricio in luoghi ancora sconosciuti sarebbe da approfondire.
Se io avessi le crêpes in mano, o la baguette, o una quiche, mi sentirei già un pò più turista.
(I turisti mi sembra prediligano cose arrotondate, inutili e piene di zucchero).
Il dentifricio, invece.
Di solito uno se lo porta da casa, quello piccolino, che si scioglie nel bagaglio a mano e lo ritrovi della stessa consistenza della maionese. lo vado a comprare, quello autoctono, denso e madrelingua.
Questo per dire che prima di vedere Notre Dame de Paris, ho visto il Carrefour Express all’angolo di Rue Saint Luis . C’è una signora prima di me alla cassa, ha i capelli corti bianchissimi, è ben vestita e ha gli occhi azzurri che si intonano alla maglietta, chiede, con una certa verve, alla cassiera, del rum “dark rum” dice, e del gin. Cerco di ricordarmi in quale ricetta ci voglia tanto rum e tanto gin. Quando esco dal negozio la trovo ancora davanti alla porta che sembra non sapere in che direzione andare.
Prima il dentifricio, poi Notre Dame.
Notre Dame è ingabbiata tra le impalcature, è irriconoscibile da dietro. Sembrano ragnatele, fili bianchi che la attraversano. Tutto intorno al cantiere, le foto delle macerie degli interventi di ricostruzione, sui ponteggi un formicaio di operai che sembrano stare lì a tamponare le ferite di quella grande ustione.
Notre Dame, sta in piedi da quasi mille anni ( hanno iniziato a costruirla del 1163) e nel 2019 un incendio ha fatto crollare il tetto e la guglia, le due torri invece sono salve, come sia successo è quasi un mistero, sembra che l’incendio si sia propagato da uno dei ponteggi usati per restaurare la guglia.
Una scintilla qualunque
una banale folata di vento
un allarme antincendio
ignorato
sottovalutato
e Notre Dame dopo 1000 anni cade a pezzi.
Una grande ustione alla pelle e alle viscere. Tranne che sul viso, la facciata di Notre Dame, con le due torri, è intera, è così intera che hanno costruito una scalinata per starla a guardare.
Se ci dimenticassimo per un attimo il suo corpo deflagrato, la vista della facciata sarebbe piacevole, invece no, sembra fatta di vetro, sembra di poter vedere attraverso.
L’immagine della facciata coesiste con quella delle macerie. Impossibile scinderle.
Mentre faccio questo pensiero passa una ragazza, avrà vent’anni ,tutta vestita di nero, un canetto al guinzaglio, dentro il suo zaino nero, porta un mazzo di girasoli, così, sulle spalle.
Un ragazzo si volta e scatta una foto a questa macchia di giallo sullo sfondo nero.
Io vado per prendere il telefono. Ma. No. Mi ricordo il “filtro-paradiso”. Lascio stare.
Torno a guardare Notre Dame, piena di bende, fasciata, intubata, immobilizzata nel suo letto al centro della Senna. Siamo in molti a guardarla attraverso il vetro.
Per un attimo la immagino senza tutte quelle bende, la immagino nera, bruciata, avvizzita come un fiammifero, storta, ripiegata su se stessa.
La fine dei lavori di restauro è previsto per il 2024.
Chissà come rinascerà Notre Dame?
Chissà come si reggerà in piedi? Chissà che faccia avrà, dopo?
Chissà se una volta ripulite le macerie, si torna a splendere, come prima dell’ustione?
Chissà se ha trovato la strada quella donna con gli occhi di vetro al supermercato.
Chissà qual è quella ricetta per cui serve un litro di rum (dark rum) e un litro di gin.
Chissà a chi porta i girasoli quella ragazza vestita di nero.
Chissà che sapore ha questo dentifricio marca “Signal/ Nouvelle Formule” Per denti più forti.